Ognuno di noi ha il proprio lavoro dei sogni, quello che immagini ti faccia svegliare il mattino carico come una molla e ti faccia schizzare al lavoro felice e colmo di aspettative. Solo qualcuno però, i più fortunati e abili, riesce a fare di questo sogno una realtà. Tra i restanti voglio sperare che siano molti ad avere un lavoro che regali loro soddisfazioni e che, anche senza farli scattare come una molla, renda le giornate sopportabili e tutto sommato felici.
Ma per coloro il cui impiego è magari ripetitivo, noioso e poco coinvolgente, c’è una soluzione che non sia quella di cambiare lavoro? Anche perché diciamocelo, in questo periodo quest’ultima ipotesi è a dir poco rischiosa!
Il mercato del lavoro Italiano, giusto ieri c’è stato un nuovo step, con il Job Act, la riforma del welfare del governo Renzi, sta (di nuovo) cambiando cercando di ammodernarsi verso modelli e schemi internazionali: il processo in breve prevede l’eliminazione di alcune tutele oggi presenti (ne sono un esempio quelle previste dall’articolo 18) per introdurne altre a sostegno di alcune categorie di lavoratori particolarmente disagiate.
La riforma in atto riguarda gli aspetti contrattuali e di sostegno al mondo del lavoro, cioè in pratica quanto concerne la forma dell’esperienza lavorativa, ma per quanto invece riguarda per la sua sostanza, cioè “la giornata di lavoro” vera e propria, cosa si sta facendo?
Sempre più spesso si guarda alla gamification come una delle soluzioni per rendere il lavoro più coinvolgente e stimolante, capace di aumentare non solo l’engagement del dipendente ma anche le sue performance.
Ammesso che questi obiettivi siano più o meno facilmente raggiungibili, come si stanno comportando le aziende? Come vedono i lavoratori il loro grado di coinvolgimento sul lavoro? Si parla di gamification ma questo processo, il dipendente, lo percepisce oppure no?