Recentemente ci è capitato spesso, leggendo documentazioni di genere e per esperienza personale, di imbatterci nella questione relativa ai processi di apprendimento, in particolare per quanto concerne questi processi applicati all’e-learning – formazione a distanza -, alla learnification e di rimando, per quanto ci riguarda più da vicino, alla gamification. Sostanzialmente ci sembra che l’impressione più diffusa sia che i processi di gamification possono essere efficacemente impiegati per aumentare la produttività e l’engagement degli individui all’interno di una società (intesa come azienda), ma che questi processi invece non abbiano la stessa efficacia nell’agevolare i processi di apprendimento a tutto tondo.
Va detto che con questo articolo non ci poniamo l’obiettivo di dirimere la questione, quanto piuttosto di iniziare a valutarla con spirito critico, ipotizzando delle possibili soluzioni.
Per trattare questo argomento vorremmo prima di tutto soffermarci sul materiale fornitoci dal trainer e coach Antonio Zanaboni, nel quale viene preso in analisi un processo (o modello) di apprendimento in particolare, spesso utilizzato con profitto nelle attività in aula e secondo noi adatto ad introdurre l’argomento che ci accingiamo a trattare: il modello in questione è stato teorizzato da David Kolb, docente di psicologia sociale alla Harvard University che, partendo dalle teorie di importanti precursori come John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget, ha introdotto un nuovo concetto detto di “apprendimento esperienziale”, alla base di quello che appunto si chiama “Ciclo di Kolb”.
Secondo questo ciclo la coscienza si sviluppa tramite l’osservazione e la trasformazione dell’esperienza.
Rifacendoci ancora al materiale fornitoci da Zanaboni, Kolb identifica all’interno del suo ciclo quattro distinte fasi dell’apprendimento, nello specifico:
- L’esperienza concreta (concrete experience – CE)
- L’osservazione riflessiva (reflective observation – RO)
- La concettualizzazione astratta (abstract conceptualization – AC)
- La sperimentazione attiva (active sperimentation – AS)
Entrando più nello specifico: nella fase dell’esperienza concreta il focus è puntato è sul coinvolgimento diretto e personale: questo atteggiamento interessa principalmente la sfera emotiva e l’interpretazione dell’esperienza, tendendo ad evidenziare la sua unicità e la sua complessità piuttosto che eventuali teorizzazioni di carattere generale. Il risultato è vissuto come personale ed è favorito da un approccio intuitivo e dalla capacità di adattamento situazionale. Le attività che favoriscono questa parte sono quelle che richiamano la concretezza e l’applicazione.
Durante la fase di osservazione riflessiva invece, l’apprendimento si focalizza sulla comprensione dei significati attraverso l’ascolto, il confronto e l’osservazione imparziale. Gli strumenti che facilitano questa fase sono principalmente la discussione e le case history.
Nello stadio della concettualizzazione astratta l’apprendimento si inquadra nella possibilità di individuare regole e dinamiche di processo. Si elaborano quindi teorie e si individuano dei concetti chiave utilizzando strumenti quali la rappresentazione grafica ed i diagrammi.
Nella sperimentazione attiva infine, ci si focalizza sull’azione e le possibili applicazioni nella realtà. Simulazioni, lavori di gruppo, allenamento sul campo sono tutti elementi indicati per favorire questo stadio dell’apprendimento.
Detto questo, va specificato che un apprendimento realmente efficace deve coinvolgere tutte e quattro le fasi del ciclo di Kolb, a prescindere dalle eventuali propensioni personali verso l’uno o l’altro approccio. Va altresì detto che non ha comunque importanza da quale delle fasi si dia il via al processo di apprendimento: la struttura in questo caso non è rigida e può essere di volta in volta modificata ed adattata.
A questo punto, evitando di addentrarci ulteriormente nelle dinamiche e nelle “meccaniche” proprie del ciclo di Kolb, passiamo a quello che secondo noi è il nocciolo della questione, cioè il frangente in cui le varie metodologie di apprendimento di scontrano, per così dire, con i processi di Gamification: la sostituzione della presenza in aula con modalità tipiche dell’approccio di digital learning.
In pratica, come abbiamo visto nella nostra breve analisi, le tecniche volte ad agevolare il processo di apprendimento danno oggi per scontato un contatto diretto fra il “formatore” e gli individui da formare, ma questa condizione è davvero irrinunciabile? E’ possibile sostituire il contatto diretto tramite l’impiego di specifiche meccaniche di gamification, che aiutino a coinvolgere adeguatamente l’utenza anche senza la presenza di un aula e di un formatore in loco? Secondo i detrattori della gamification e della learnification questo a lungo andare risulterà di difficile realizzazione (se non proprio impossibile) a causa degli imprescindibili limiti dell’approccio digitale: a nostro avviso però è proprio lo scetticismo intorno a questa possibilità a costituire uno degli ostacoli più spinosi da affrontare, più che degli ipotetici limiti.
Cercheremo quindi nella restante parte dell’articolo di affrontare l’argomento con mente aperta, citando esempi che formatori e specialisti di gamification hanno ipotizzato in precedenza: ad esempio, secondo Alessandro Donadio, che recentemente ha pubblicato un interessante articolo in merito, per poter ottenere i risultati sperati eliminando dal processo di apprendimento l’aula è “cruciale la visione “people” prima di quella tecnologica”. Il suo articolo prosegue affermando che “Maner, SocialHR, responsabili della formazione, esperti di didattica, formatori, devono operare dentro quel processo di learning in chiave cognitiva e sociale, e allora le tecnologie possono offrirsi come uno strumento di stimolazione davvero nuovo e potente” concludendo che “quando si progetta anche solo una parziale smaterializzazione dell’aula bisogna avere il processo d’aula stesso in testa, e poi tradurlo negli strumenti e nelle modalità social & digital”.
In pratica, l’ipotesi che qui viene avanzata è che, a prescindere dall’efficacia intrinseca delle meccaniche di e-learnig o gamification (efficacia attestata dalla crescita esponenziale che l’impiego di tali meccaniche sta avendo all’interno del mercato. Basti notare che secondo il Gartner Research Report entro la fine del 2014 il 70% delle 2000 più importanti compagnie del mondo impiegheranno meccaniche di Gamification per incrementare la propria produttività, mentre è previsto che per il 2015, il 50% delle società che operano nel settore dell’innovazione in generale utilizzerà le stesse meccaniche), per arrivare ad ottenere risultati davvero consistenti, oltre che nei canonici ambiti di “fedeltà” all’impresa e di engagement, anche nell’ambito dell’apprendimento, sarà necessario costruire ogni futura esperienza gamificata tenendo sempre a mente le dinamiche relative all’aula, cercando quindi di “trasportarne” le caratteristiche ed il coinvolgimento all’interno dell’esperienza digitale.
Non si parla quindi di una vera e propria estromissione dell’aula come spazio formativo, quanto di una sua ideale evoluzione. La sfida del prossimo futuro, sempre inerente ai processi di formazione, riguarderà proprio la nostra capacità di riprodurre le caratteristiche dell’aula all’interno di una spazio digitale e non di abbandonarne le funzioni consolidate, richiedendo però ad ogni parte coinvolta di abbandonare preconcetti o dogmatiche prese di posizione.