Già nel 2008 il giornalista del The Times, Rob Fahey, sentenziò che “è inevitabile, prima o poi saremo tutti giocatori”. Questa frase, diventata famosa, rende a nostro avviso in modo piuttosto significativo la direzione che la società nel suo complesso sta imboccando. Questa direzione sembrerebbe puntare, agevolando la fruizione di contenuti e attività di vario tipo, verso i principi di gamification e il game-based marketing permettendo di coinvolgere l’utenza proprio grazie ad attività tipiche del gaming. Ma questa tendenza interesserà anche quella che possiamo chiamare learnification?
Analizzando i dati forniti annualmente dalla EAT (Entertainment Software Association), in quello che è il report più importante al mondo per quanto riguarda il settore dei videogames, possiamo farci un’idea delle cifre, riferite in particolar modo agli Stati Uniti, che senz’altro ci farà meglio capire quanto Fahey avesse visto giusto. Secondo il report del 2013 infatti:
- Il 58% degli americani gioca, almeno saltuariamente, con i videogames (si parla quindi di più di 180 milioni di persone nei soli Stati Uniti);
- Negli Stati Uniti, 69% di tutti i capi famiglia giocano con i videogiochi;
- In media, in tutti i nuclei familiari c’è almeno una piattaforma dedicata al gioco, che si tratti di pc, consolle, smarthophone, ecc;
- Il 97% dei giovani giocano;
- Il 45% dei giocatori sono donne (con una tendenza in crescita, soprattutto da quando hanno preso piede i social games);
- La maggior parte dei giocatori prevede di continuare a giocare per tutta la vita;
- Ci sono 5 milioni di “extreme player” (almeno 45 ore alla settimana) in USA;
- Ci 10 milioni di “hardcore player” (22 ore settimanali) in Inghilterra, Francia e Germania;
- La comunità dei giocatori on-line in Europa è composta da 100 milioni di giocatori (200 in Cina, 17 nella Corea del Sud, 15 in Australia, 13 nell’America Centrale e Meridionale, 10 in Messico, 10 in Vietnam, 105 in India, 10 in Russia);
Davanti all’entità di questi dati non si può che rimanere quanto meno colpiti, ma al tempo stesso risulta inevitabile porsi delle domande. Una in particolare in questo momento ci sembra interessante: se è vero che l’età media dei giocatori nel mondo è ormai di circa 30 anni (sempre secondo la EAT), è anche vero che una buona fetta del numero complessivo dei giocatori è attualmente in età adolescente. La domanda che vorremmo porci è: questa moltitudine di adolescenti, ragazzi e ragazze, come si approcceranno nel prossimo futuro al mondo del lavoro? E’ possibile agevolarne in qualche modo la transizione?
In passato abbiamo già affrontato il tema del gioco in contrapposizione al lavoro, e oggi milioni e milioni di giovani, nella maggior parte dei paesi industrializzati e a prescindere dal ceto sociale e dal sesso, trascorrono ore ogni giorno giocando ai videogiochi, di un tipo o di un altro e così facendo acquisiscono consuetudini e familiarità con dinamiche e meccaniche che solo fino a poco tempo fa non venivano neanche prese in considerazione nel “mondo del lavoro”: a nostro avviso uno dei principali meriti della Gamification e della learnification nell’imminente futuro sarà proprio quello di andare ad inserirsi in questo solco, colmando quello che riteniamo un importante vuoto formativo.
Se per noi infatti sta diventando via via sempre più comune pensare all’applicazione delle meccaniche di Gamification alle convenzionali strutture lavorative, ai processi di e-learning, di learnification, di formazione e FAD (formazione a distanza), una grande mancanza risulta invece l’applicazione delle medesime meccaniche ai processi di introduzione al lavoro.
Riuscire a sintetizzare ed a sfruttare correttamente quelle dinamiche (di gioco) alle quali moltissimi ragazzi sono ormai abituati anche all’interno di ambiti quali l’introduzione al lavoro potrebbe infatti tradursi in un importante vantaggio strategico per tutte quelle aziende che dovessero riuscire nell’impresa: così facendo si potrebbero infatti ridurre drasticamente i tempi di integrazione e formazione delle nuove leve all’interno delle file del proprio personale operativo, generando risultati vantaggiosi soprattutto dal punto di vista della produttività. Questo perché i nuovi assunti non dovrebbero adeguarsi ad apprendere dinamiche per loro del tutto nuove e sconosciute, ma sfrutterebbero invece sistemi e procedure con le quali abbiano già avuto modo di esercitarsi e che trovino di conseguenza familiari.
Inutile sottolineare che sfruttare sistemi e procedure che si conoscono e con le quali si ha consuetudine, in qualunque ambito, risulta non solo più pratico ma generalmente più proficuo e meno stressante.
Questa tipologia di approccio alla formazione gamificata potrebbe, sempre a nostro avviso, produrre interessanti riscontri soprattutto considerando i dati sopra riportati. Pensiamo infatti alle dimensioni reali che quelle cifre implicano: massimizzare l’efficacia della transizione scuola-lavoro, ne siamo convinti, porterebbe enormi benefici. Certo, per dovere di cronaca va sottolineato che queste sono, all’atto pratico, mere speculazioni in quanto fino a questo momento non è stato possibile (o comunque non si è presentata la possibilità) condurre su campo un tipo di ricerca su di un campione abbastanza ampio ed affidabile dal quale far emergere cifre e dati realmente utilizzabili. Ma pur rimanendo nel campo speculativo, è lecito aspettarsi importanti svolte e un impatto sociale assolutamente rilevante qualora questo tipo di approccio dovesse essere utilizzato su larga scala.
Basti immaginare, come già accennato, al tempo risparmiato per l’introduzione e la formazione del personale, in buona parte così facendo convertito direttamente in produttività: per non parlare poi della soddisfazione del “nuovo dipendente”, già produttivo ed integrato in tempi brevi, a sua agio grazie a meccaniche e procedure collaudate e con le quali abbia già acquisito dimestichezza.
Per concludere questa nostra riflessione: come più volte menzionato nel corso dell’articolo, quelle fatte fino ad ora sono speculazioni, ma pensiamo possa valere la pena di farle considerando i rapidi cambiamenti e le profonde trasformazioni che il mondo del lavoro sta attraversando ormai da diversi anni. Tutti questi processi sono ormai avviati in modo irreversibile, sarebbe imperdonabile non cercare di trarne il maggior beneficio.
L’immagine di copertina è presa dall’infografica: La neurologia del gioco
4 commenti su “Adolescenza, gioco e il mondo del lavoro: una semplice riflessione”